Cronaca di un viaggio di pace in Palestina (15-19 feb 2004)

Quello seguente è un breve diario del viaggio in Palestina compiuto dal 15 al 19 febbraio 2004 quando ero Sindaco di Empoli, insieme al Sindaco di Siena Maurizio Cenni, al Presidente della Fondazione MPS Giuseppe Mussari ed altri membri di associazioni che hanno aderito e contribuito a progetti di cooperazione fra Siena ed Empoli e città palestinesi e israeliane.

Gerusalemme 15 febbraio 2004 cena con Associazione Parents’ Circle – Families Forum www.theparentscircle.com

Associazione di circa 500 famiglie, 250 i. e 250 p. colpite da lutti familiari avvenuti a causa del conflitto. Si basa su tre principi fondamentali, in questa fase: 1. La Pace e la non Violenza come condizione essenziale per la riconciliazione – 2. Invasione Israele comporta togliere libertà e quindi allontanamento delle possibilità di riconciliazione – 3. Stati sicuri: ma per essere sicuri devono essere due stati riconosciuti con i confini certi.

Fanno vari progetti, tutti con la condivisione di tutte le famiglie.
Uno di essi si chiama “Hello Shalom, Hello Peace”; nato nell’ottobre 2002, consiste in una linea telefonica messa a disposizione per dare modo a p. e i. di chiamarsi e parlare tra loro. In 14 mesi ci sono state circa 300 chiamate e dunque si sono parlate circa 600 famiglie. Se tutto questo tempo di dialogo fosse stato speso dai leaders forse avevano già trovato una soluzione ai problemi. Nel 2002 hanno fatto un’iniziativa a NYC davanti all’ONU esponendo 1.250 bare fasciate dalle bandiere del paese delle vittime. Se la rifacessero oggi le bare da esporre sarebbero più di 3.200.

Un altro progetto consiste nel tenere letture e conferenze nelle scuole ai ragazzi sopra 15 anni. Sono tenute insieme da familiari i. e p. e danno la dimostrazione ai ragazzi di come si possa parlare con gli stessi toni e argomenti e si possano trovare idee comuni.

Un altro è la donazione del sangue che viene fatta anch’essa insieme in luoghi ora p. ora i. Il sangue è uguale per tutti.

Un altro ancora consiste nell’organizzare campi estivi insieme per bambini p. e i., in modo particolare quelli delle famiglie con vittime.

Il giudizio che loro danno sul ritiro dai territori paventato da Sharon è positivo se effettivamente viene realizzato. Per ora si è solo parlato mentre i morti sono aumentati notevolmente. D’altronde è difficile fidarsi di Sharon e se questa cosa fosse solo propaganda sarebbe un’ulteriore peggioramento della situazione. Nella loro azione subiscono minacce e persecuzioni perché spesso sono visti come traditori.

Hebron – 16 febbraio 2004 – Ospedale di Al-Ahli Proprietà di una associazione di carità “Amici del malato”, ha 200 posti letto e vorrebbero arrivare a 350 pl.

Fanno servizi medici per tutta la zona. Hanno 2.500 soci e un comitato di sette persone eletto ogni due anni dirige la struttura. Hanno 350 dipendenti. L’associazione è finanziata dai locali (poco) e dall’estero (molto). Serve la zona di Hebron e Betlemme (circa 600.000 abitanti). Fanno servizio gratis a chi non può pagare e poi danno contributi a chi può in parte dal 30% al 70%. Hanno costi annui per circa 10 milioni di $ che coprono con il pagamento degli utenti al 70% e il resto con i contributi esterni. Hanno macchine di qualità, direi più macchine che dottori. Il sistema dell’emergenza praticamente non esiste (hanno 3 ambulanze) e i malati urgenti vengono portati con mezzi vari. Dall’occupazione ad oggi hanno curato circa 2.200 feriti del conflitto arabo-israeliano. Quando ci fu l’attentato del colono alla moschea di Hebron con 29 morti e tanti feriti, molti furono salvati da loro. In quei giorni i palestinesi venivano per donare il sangue ai feriti ma l’ospedale era stato circondato dagli israeliani che non facevano passare nessuno (Importante: pensare a cosa rimane dentro a un parente che ha un malato ricoverato..). Hanno bisogno di formare personale medico e paramedico e noi ci siamo resi disponibili ad accoglierli in Italia e mandare dei medici sul posto. Avrebbero bisogno subito di tecnici per utilizzare meglio la risonanza magnetica.

Note – Situazione politica palestinese Ora contano, sotto Arafat, Abu Alaa, Suab Hercat (uomo chiave del governo e della politica, delfino di Arafat e ministro della negoziazione) e Fajad (ministro delle finanze). Arafat sembra vicino alla fine anche perché la commissione investigativa della UE sul controllo dei finanziamenti comunitari starebbe per dimostrare che ha messo almeno 300.000 € su un suo conto e con altri soldi ha finanziato le brigate. (La situazione dei finanziamenti UE è molto particolare perché ad un calcolo che non è corretto fare ma che rappresenta pure qualcosa, la UE dà un contributo annuo che comporterebbe una cifra di 350$ a cittadino palestinese). Arafat ha ancora il comando perché è l’unico che, bene o male, riesce a tenere in equilibrio un po’ tutti. All’opposizione c’è da un lato Dalham, uomo finanziato dagli americani e dagli Usa che terrebbero pronto per spingerlo al comando se cade Arafat, e dall’altro Rabbo che punta tutto sul rapporto fortissimo con l’UE (in particolare GB, Germania e Svizzera) e con i laburisti israeliani (specialmente nel caso vincessero le elezioni). Poi c’è la forza di Hamas che se si votasse ora riceverebbe il 40% dei voti nelle zone più tranquille e ancora di più nelle zone ancora più martorizzate come Gaza. Senz’altro è finanziato dai servizi segreti americani e israeliani. In alcune zone ha il controllo militare del territorio. Con questo rischio Hamas resta impensabile che possano fare le elezioni anche se stanno progettando ipotesi di farle nei posti più tranquilli e non nel resto della Palestina.


Hebron – 16 febbraio 2004 – Centro Handicap Al-Ihsan – Charitable Society

Struttura dell’associazione CS con 70 dipendenti e 120 utenti. I ragazzi pagano una retta che copre il 15% del costo totale e per il resto vanno avanti con contributi esterni. Mi ha lasciato veramente desolato per lo standard decisamente inferiore rispetto a noi. Siamo ai limiti dell’umanità. Danno una risposta ai più gravi per un periodo di tempo e poi li mandano a casa cercando di farli seguire da personale che formano loro per una specie di assistenza domiciliare. Bambini ammassati, struttura piccola e mal organizzata, un ghetto di sofferenza umana. Nello stesso posto fanno anche la riabilitazione (chissà perché). Vorrebbero realizzare un centro per la costruzione e l’applicazione delle protesi artificiali e ci hanno chiesto di contribuire al finanziamento che costerebbe, solo per le attrezzature, 110.000$.

Ho fatto loro un discorso dal quale si capiva che secondo me dovrebbero lavorare per migliorare quel posto anziché chiederci soldi per una cosa nuova. Ho dato la disponibilità a mandare due tecnici nostri per analizzare quello che dovrebbero fare in base a quello che hanno. Non mi sembravano molto convinti ma forse si va avanti.

Betlemme – 16 febbraio 2004 – Natività

Betlemme è a rischio di sopravvivenza: per l’isolamento nel quale è stata messa, per la situazione economica una volta basata sul turismo ed altro e ora fortemente compromessa, per il restringimento progressivo dei confini, per l’occupazione sempre più massiccia del territorio, etc. Il Nunzio Apostolico ha fatto un discorso equilibrato ma forte. Bisogna ricondurre tutto all’umanità: non ci può essere soluzione se non si parla di libertà e diritti. Non siamo nel campo dell’umanità finchè si parla di muri, di attentati, di uso della forza. Ci vuole riconoscimento reciproco come stati in confini riconosciuti dalla comunità internazionale e resi sicuri. Il Ministro della Gioventù Palestinese dice che gli attentati suicidi sono una aberrazione umana, che il suicidio lo si pratica da soli e non uccidendo altri, ma non giudica se essi siano utili o no dal punto di vista politico.
A Betlemme, tutto diretto da Padre Ibraim che oramai conosco abbastanza bene, hanno una scuola con 2.000 ragazzi che va dalle elementari al liceo (classico e scientifico). Da lì partono tantissimi progetti per aiutare i Palestinesi e la causa della pace. Giovane alto e forte, ha la faccia serena nonostante le responsabilità e le battaglie. Quella di avere in mano tutto durante l’assedio è stata sotto l’attenzione del mondo e lui pare non averla vissuta. Dà l’idea di un fiero e mite partigiano a difesa non tanto di quel posto che dirige e che è uno dei simboli dell’umanità, quanto a difesa della dignità e della giustizia umana. E continua abile e imperterrito facendo tutte le cose che deve fare giorno per giorno. E’ proprio una bella persona, una delle migliori che abbia mai conosciuto. E penso (e spero) di non sbagliarmi. Mi ha detto di tornare con calma e rimanere lì ospite per parlare e stare insieme.

Nota – Insediamenti e Campi profughi. Quando ne sentiamo parlare non ci rendiamo conto. Gli insediamenti vengono fatti a scienza andandosi a pigliare un pezzo di terra, o addirittura delle case, da parte di cittadini ebraici in mezzo a città Palestinesi. I cosiddetti coloni in realtà esistono relativamente perché per il più sono famiglie israeliane pagate per stare di casa lì. L’insediamento produce ovviamente contrasti anche perché deve essere protetto dall’esercito e dunque isolato e difeso scombussolando tutta la situazione esistente. I Campi profughi sono nati a partire dal 1948 quando 750.000 rifugiati furono costretti a lasciare Israele. Ora sono c.ca 5ml. Per 5 decadi è stato uno dei problemi più grandi. Seppure è sacrosanto il diritto di tornare che loro rivendicano, poi sarebbe oggettivamente problematico: dovrebbero diventare cittadini Israeliani, dovrebbero fare dunque il militare, perderebbero i posti dove adesso hanno fatto famiglie più giovani e amici, etc. Ginevra ha proposto ipotesi di soluzione che sono contestate da molti: A) Ritorno in Israele. B) Ritorno in Palestina nelle zone recuperate rintracciando i confini del ’67. C) Ritorno nelle aree scambiate con Israele. D) Rimanere dove sono. E) Ritorno nei Paesi esteri con accordi per accoglienza.

Dehaiashah (Betlemme) – 16 febbraio 2004 – Campo profughi Accompagnati da Padre Ibraim abbiamo visitato il campo profughi, il più grande e strutturato della Palestina. All’arrivo siamo stati accolti dai responsabili del campo, dal sindaco di Dura, dal Vice Governatore e da circa 200 persone. Una cartello all’ingresso “Benvenuti e grazie ai nostri amici di Toscana che ci stanno aiutando” (o qualcosa di simile).

Ho fatto un discorso insieme ad altri che diceva può o meno questo. “Vi porto il saluto di tutti i cittadini di Empoli e con questo un abbraccio vero. Continueremo a stare in relazione con voi e a cercare di dare il nostro aiuto. Quello che abbiamo fatto finora è poco ma pieno di significato. In particolare il contributo economico per la costruzione dell’ambulatorio pediatrico, anche se economicamente limitato, ha per noi un grande valore simbolico perlomeno per due ragioni.

La prima è data dal fatto che riguarda i bambini. Noi siamo una città che ha ricevuto una onorificenza dal nostro Stato, nominandoci “Città sostenibile dei bambini e delle bambine” perché abbiamo cercato e stiamo cercando di progettare e costruire una città a misura dei bambini, amica di loro e pronta a cercare di soddisfare le loro esigenze. Lo facciamo non per un motivo naif, ma per un motivo molto concreto: una città che va bene per i bambini è una città che va bene per tutti. E’ difficile perché ci sono tanti interessi che vorrebbero portarci in altre direzioni, principalmente quelli economici di settori egoistici della nostra comunità. E’ difficile, ma noi ci possiamo riuscire. Ma come potete farlo voi? Per voi questo è impossibile finché ci sarà conflitto, finché ci sarà occupazione, limitazione o impossibilità di movimento. Finché dei vostri bambini saranno uccisi o arrestati con o senza i padri.

La seconda ragione è data da come abbiamo raccolto questi fondi. Nei mesi precedenti alla possibilità di guerra in Iraq e anche dopo in Italia è sorta una grande riluttanza a questa guerra nella stragrande maggioranza della popolazione. Moltissimi hanno ritenuto di dare un messaggio in tal senso mettendo le bandiere della pace ai balconi e alle finestre delle loro case. L’hanno fatto così in tanti che venivano anche in Comune a chiederci di acquistarle. E noi le abbiamo vendute dicendo che l’introito l’avremmo devoluto a questo progetto: quelle bandiere non hanno consentito la pace in Iraq, ma hanno contribuito a questo vostro progetto. Allora noi siamo qui a rappresentare quella stragrande maggioranza di popolo che vuole la pace e che sa che non ci potrà mai essere pace vera finché permane il conflitto israelo-palestinese. Siamo a rappresentare quel popolo che non è ben rappresentato nelle sue intenzioni da tanti Governi come quello italiano che si comportano nel modo opposto a questa richiesta di pace. Siamo qui consapevoli che possiamo fare poco ma che se tutti facessero quel poco si arriverebbe a qualcosa. Siamo qui a dirvi che voi avete una grande responsabilità e che da come vanno le cose qui dipendono le sorti del mondo. Siamo qui a portarvi la voce di tante persone che tutti giorni, in tante, si riuniscono, dibattono, fanno iniziative, mettono in piedi progetti anche nella nostra città e che credono con questo di darvi una mano a risolvere i vostri problemi. A dare a voi uno Stato e ai cittadini di Israele una sicurezza. Per questo ci impegneremo ad andare avanti e fare tutto il possibile per la fine del conflitto e per una pace duratura e dare anche a voi la grande possibilità di costruire una comunità a misura di bambina e bambino.”

Dura – 17 febbraio

Grande accoglienza. Parata di ragazzi delle scuole modello cubano. Visita al centro medico dove si sono donate attrezzature della Asl per esami del sangue e alla scuola materna e asilo nido ambedue fatti con parsimonia ma largamente accettabili. Poi visita al salone degli incontri del giardino pubblico costruito con i soldi di Siena dove ci sono stati i discorsi del sindaco di Dura, di quello di SI, mio e del presidente della Fondazione MPS di fronte a 400 persone. Poi inaugurazione del giardino pubblico (nel quale c’è uno spazio giochi, un teatro all’aperto, una palazzina per caffetteria, biblioteca, spazi pubblici vari, etc.). Infine incontro con autorità locali in Comune dove ci hanno presentato progetti futuri. Faranno selezione e indicheranno le priorità. Tra le altre cose vogliono fare un centro per handicap e abbiamo offerto di progettarlo insieme al nostro personale sanitario.

Dopo la partenza abbiamo tentato di visitare la moschea di Hebron ma dopo un paio di tentativi ai check point andati male ci siamo arresi. Notare che ‘ difficoltà di spostamenti ci sono e di come i presidi diventano ferrei e irremovibili per raggiungere i punti dove i Palestinesi vorrebbero andare più che in altri. Notare cosa significa per un musulmano essere privato della possibilità di andare in una moschea.

Nota – Blocchi stradali Sono di vario tipo. Durante i giorni caldi dell’occupazione in molte città e pezzi di città hanno scavato fossati sulle strade nei punti dove passano fognature e servizi vari. In altre strade avevano messo monti di terra in mezzo che non consentivano ovviamente di passare. Alcuni ci sono sempre e altri sono stati liberati solo parzialmente. In altre hanno messo dei cancelli che chiudono quando gli pare. In altre ci sono punti di controllo militarizzati tipo le vecchie frontiere. In altri ancora solo controlli con mezzi dell’esercito Tutti o impediscono o al meglio limitano il libero movimento e rendono prigionieri nel villaggio, fino al punto di non poter andare al lavoro se fuori dal punto di chiusura. Nei momenti caldi non fanno passare neanche per curarsi o cose simili. E in tutti quando gli pare di chiudere chi è fuori ci rimane e non può tornare a casa.

Ramalla – 18 febbraio 2004 – Incontro ministro Autorità locali Shobat

Grande legame con l’Italia: ora più con la gente che con il Governo (anche se non lo dice). I comuni stanno soffrendo particolarmente l’occupazione e le chiusure dei check points di accesso alle città o parti di esse. E poi è dura la ricostruzione delle infrastrutture via via distrutte che toccano tutte ai comuni anche se ci sono dei fondi (credo ONU) ovviamente insufficienti. La disoccupazione, dalla prima Intifada a ora, è passata dal 9% al 45% dovuta principalmente alla impossibilità di movimento e alla distruzione delle infrastrutture di mobilità. Il muro finirà di distruggere le residue possibilità. Stanno andando avanti con la riforma per fare le elezioni a livello locale partendo da alcune città. Abbiamo avuto la disponibilità a collaborare per una programmazione comune di modelli di intervento che possono essere pianificati con tutte le autorità locali e abbiamo individuato nell’handicap una possibilità.

Ramallah – 18 febbraio – Incontro Presidente Arafat

Il Presidente è isolato nel suo quartier generale che sembra un magazzino diroccato e contornato di macerie prodotte dagli attacchi, con auto distrutte, bidoni di olio e sacchetti di sabbia a difesa delle entrate. Militari e assistenti con lui. Fotografi e telecamere fuori ad aspettarci, almeno una trentina di tutte le principali testate. Entriamo e si sente la straordinarietà del luogo e del personaggio ancora prima di incontrarlo. Entriamo in una stanza con un tavolone, lui a capotavola che si alza e viene a salutarci e darci la mano mostrando una condizione fisica tutto sommato ragionevole. Si siede, ci sediamo, entrano i fotografi. Flash innumerevoli per alcuni minuti e poi vengono fatti uscire. Entrano le telecamere, stessa scena. Poi ovviamente mi spiegano che non erano lì per noi ma per lui. Che entrano solo quando arrivano delegazioni e le uniche che fanno passare sono quelle diplomatiche e quelle di scarsa importanza come nel nostro caso: dunque per loro è un’occasione per riprendere Arafat.
Sembra strano che si possa fare il “capo di stato” da un posto come quello. Aspettiamo che tutti abbiano finito e poi iniziamo a parlare. Ovviamente inizia lui. Anzitutto ci ringrazia per la visita fatta in una situazione di pericolosità che dimostra il nostro attaccamento al popolo palestinese, come è sempre stato per l’Italia che ha sempre supportato la sua causa. Gli israeliano stanno riducendo le loro città in ghetti e il loro territorio in cantoni staccati l’uno dall’altro, con l’impossibilità di pensare ad uno Stato. Vengono confiscate e annesse le terre più fertili, circa il 40% solo della West Bank. Con il muro isolano l’oriente dal resto del mondo in un modo che oggi impedirebbe ai re magi di raggiungere Betlemme e impedirebbe al Papa, come fece nel Giubileo del 2000, di andare dalla Natività (Betlemme) al Santo Sepolcro (Gerusalemme), quando si riunirono, con il suo contributo determinante del quale va orgoglioso, 13 capi di diverse chiese per partecipare alla messa davanti alla chiesa della Natività ufficiata dal Pontefice. Non c’è nessuna voce nel modo che parla di questo. Dove è finita la pace firmata con Rabin? Dove quella con gli USA? Dov’è la Road Map? Hanno lasciato i Palestinesi da soli contro questi crimini mondiali. Quando gli Afgani hanno toccato la statua di Buddha tutto il mondo si è sollevato. Quando hanno distrutto con 13 granate la statua di Maria alla Natività non ha detto nulla nessuno. Incoraggiando Israele ad andare avanti. E ci mostra la foto della statua di Maria distrutta. Hanno distrutto la chiesa di Santa Barbara. E ci mostra la foto prima e dopo la distruzione. C’è un rapporto di una commissione di tecnici USA e Olandesi che dimostra l’uso giornaliero di uranio impoverito sui palestinesi, innalzando la percentuale di cancro in Palestina fino ai livelli di Hiroscima e diminuendo drasticamente la fertilità. E ci mostra il rapporto. Non siamo esseri umani? Ci dice con severità. Tutto il mondo è zitto, dice guardandomi negli occhi e facendomi sentire il mondo. Ma questa non è la Terra Santa? Come fa a sopportare il mondo che questa terra sacra non sia più Terra Santa. Ditemi voi quale è la terra santa e io ci vado, ci dice. Si fanno accordi UE, Russia, Usa e non vengono rispettati da Sharon: tutti zitti. “Il Papa ha detto “non muri ma ponti”. Un mio amico influente del Sud Africa ha detto che stiamo peggio dell’hapartaid”. Ma il nostro popolo palestinese non si inginocchia e continuerà a difendere i suoi luoghi santi e munsulmani. Parla il Sindaco di Siena e lui interrompe in continuazione per continuare a dire cose.

Parlo io e dico che noi non siamo capi di stato. Se lo fossimo ci vergogneremmo di quello che abbiamo visto in questi giorni e del fatto che la comunità internazionale non l’abbia saputo fermare e non riesca a farlo tuttora. Noi siamo Sindaci, di comunità piccole, ma siamo qui a rappresentare il pensiero e il sentimento dei nostri cittadini che non sono stati zitti. Loro no. Hanno cercato di informarsi, di riflettere, di riunirsi nei consigli comunali e nelle assemblee, di fare manifestazioni e attivare iniziative. Le persone non stanno zitte. Mi interrompe per dirmi che lo sa che il popolo italiano è con loro. Questo popolo, continuo, è la stessa maggioranza di persone che non voleva la guerra in Iraq, che vuole la pace in Medio Oriente perché sa che senza questa non ci sarà pace nel mondo e che prima o poi ce la farà a convincere i propri Governi a cambiare rotta e muoversi. Nella mia città, a tanti chilometri da qui, tutti i giorni, nessuno escluso, vi sono giovani, associazioni, partiti, cattolici nelle parrocchie, negli oratori, nei gruppi di scout che parlano della Palestina, del diritto di questa parte di mondo di avere due popoli in due stati e vivere in pace. Noi siamo qui a rappresentarli e a fare azioni di sostegno e aiuto perché possano essere alleviate delle sofferenze e si possa marciare più spediti sulla via della pace.

Mentre finisco arriva uno e consegna ad Arafat le foto scattate poco prima, e lui ce le offre insieme ad un libretto fatto per Betlemme 2000. Noi consegniamo i doni. Io gli consegno prima la lettera del comune di Vinci che gli ha conferito la cittadinanza onoraria e lui la bacia. Poi gli offro il diario del Pontormo, “grande pittore perseguitato come il popolo Palestinese”. Ci alziamo e ci chiede se vogliamo farci qualche foto con le nostre camere che vengono prese dove ce le avevano fatte consegnare. Gli chiediamo se può concedere un’intervista alla televisione civica di Siena che è nella nostra delegazione e lo fa subito con spontaneità. Poi ci saluta cordialmente ed usciamo. Fuori ci sono sempre le telecamere che ci riprendono. E’ finita così questa esperienza unica che è stato indubbiamente unico e straordinario avere avuto l’occasione di vivere.

Ramallah – 18 febbraio – Incontro con Geneve Iniziative – Collaboratori di Abel Rabbo

Creare un gruppo Palestinese che lavora dalla società per la pace e per riconvertire il processo politico degli ultimi 3 anni, segnati da violenze senza speranza: Ginevra come dimostrazione che si può aprire un percorso comune di pace da entrambe le parti. Ora stanno cercando di sensibilizzare e fare pressione perché questo concetto sancito a Ginevra si allarghi nella società. I Palestinesi sono persone normali, non terroristi e assassini. Ma il trattamento che subiscono non è da esseri umani. Loro cercano di proseguire dagli accordi di Taba e Oslo. Il loro gruppo è composto da persone e associazioni. L’accordo è importante perché è stato raggiunto spontaneamente da tutte e due le parti senza che una sia stata forzata. Ha trovato ostacoli sia in I. che in P. ma ora il nemico principale dell’accordo è Sharon. Dice che Arafat sia d’accordo. Stanno trovando molto supporto in diversi Paesi e Continenti, anche se il loro interlocutore privilegiato è la UE. Per loro è molto importante avere ulteriore supporto a livello internazionale ma ora il problema principale è bloccare la costruzione del muro che impedirebbe ogni soluzione. Ginevra ha creato una frattura rispetto alla politica. Sharon ha basato la campagna elettorale dicendo che non ci può essere alcun Governo in Palestina (e quindi nessuno Stato) e quindi nessuna pace con i palestinesi. Questo ha creato un clima politico senza controparte. L’accordo ha dimostrato che la controparte c’è, è in ambedue i Paesi e che la pace è possibile. La situazione non può durare ancora a lungo così e Israele ha capito (proposta di Sharon di ritiro dai territori) che si può andare solo o verso due stati, o verso uno stato unico o verso uno Stato dell’Hapartaid. Quella di Ginevra è la soluzione più praticabile e realistica. E hanno stime che il 30/35% della popolazione la sostiene. Se non ci fosse la questione della proposta sui rifugiati la percentuale salirebbe oltre il 60% in P e oltre il 50% in I. Noi possiamo supportare l’iniziativa facendola appoggiare con documenti ufficiali dai comuni, a livello nazionale ed europeo, forse anche con il coinvolgimento dell’Anci.

Ramallah – 18 febbraio 2004 – Defence of Children – Direttore e Kaled Consegnato documento da approvare nei CC: lo vedono e ci mandano osservazioni.

Gerusalemme – 18 febbraio 2004 – Cooperazione Italiana a Gerusalemme – dott. Aloi

Attenzione a che i contributi non servano per fare strutture che poi sono gestite poco e/o male. Forzarli a migliorare quelle che hanno. Bisogna fare progetti che guardano al di qua e al di là del muro. Ogni progetto dovrebbe contenere una dichiarazione scritta dove si sancisce come principio la non-violenza. I progetti trilaterali devono essere di vero scambio a tre, non ritrovarsi con il rischio di giocare la parte del perno centrale con cui ambedue dialogano ma il dialogo deve esserci anche tra loro. Il Ministero sta partendo ora con un progetto municipalità che finanzia i progetti al 70% se gli EELL mettono il 30%, il che consente anche di gestire il progetto da parte dell’EL stesso anche con criteri non di gara. E’ un progetto finanziato con 30ml€ da UE, 25ml€ da ministero, 20ml$ da World Bank.

Herzilya – 19 febbraio 2004 – Firma protocollo con Dura, Herzilya e Siena

Accolti in un salone del Marina di Herzilya, alla cerimonia erano presente numerosi cittadini e tutto il Consiglio Comunale. I risultati dell’iniziativa sono contenuti ne Protocollo firmato che prevede anche gli impegni per azioni future (Vedi Protocollo).

Tel Aviv – 19 febbraio 2004 – Incontro con Ambasciatore Italiano in Israele… Quanta burocrazia…

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